Avventura romana
Mi trovavo a Roma, zona Ottaviano. Ero da solo.
L’albergo non era malaccio, ma era arrivato il tempo di sloggiare e lasciarlo. Mi rimaneva ancora qualche ora prima di far ritorno a casa.
Avevo deciso di intraprendere quel viaggio per sbrigare una certa faccenda, ma anche per ritagliarmi un sano scampolo di tempo tutto per me, lontano dalla routine di tutti i giorni. Ora che – con il senno di poi – ci penso, deduco che avevo fatto proprio bene. La mia vita sarebbe andata a scatafascio, di lì a qualche mese, e quel brevissimo soggiorno nella capitale sarebbe rimasto l’ultimo ricordo spensierato per i successivi tre o quattro anni.
Mi faceva un po’ male la testa. La sera prima avevo bevuto. Parecchio, come raramente mi concedo. Mi ero recato ad un bar gay che si trova molto vicino al Colosseo, il Coming Out. Solo che avevo preferito ordinare qualche birra e portarla via, sedendomi non ai tavolini, ma poco di fronte, tutto solo. Più tardi mi erano venuti vicino dei ragazzini che sembravano di umore particolarmente gioioso. Eravamo separati da una breve distanza, quindi in un certo senso ci facevamo compagnia, ma dopotutto ognuno badava a sé. Però le voci allegre, i discorsi imberbi e la cadenza romanesca mi avevano messo di buon umore.
Queste immagini si riproponevano nella mia mente la mattina dopo, quando un po’ stordito decidevo come avrei trascorso il tempo che restava. Avevo voglia di fare qualche incontro, ma una breve incursione su Grindr si era rivelata inutile.
C’erano solo due occasioni interessanti: un ragazzo, che sperava io fossi automunito, ed un giramondo che voleva essere raggiunto nell’hotel (ma di cui non riuscivo a fidarmi!).
Così decido per il classico cinema porno. Posti squallidi, ma alla fine non ci ho mai fatto più di una sega.
E qualche volta lì ho incontrato anche persone che m’hanno lasciato il retrogusto di animi sensibili, un po’ sfortunati. Così ne trovo uno e mi decido ad entrare.
Dopo qualche minuto, vedo due ragazzi che sono seduti a godersi lo spettacolo: sono entrambi giovani ed eccitati. Avranno 25 e 35 anni ed il più giovane è mulatto. Rimango al loro fianco ad osservare, abbastanza interessato, finché mi fanno cenno di sedermi in mezzo a loro.
Così lo faccio. Il trentacinquenne dà cenno inequivocabile di apprezzare molto, e dopotutto non mi dispiace: è carino. E dopo un po’, quando i giochi sono conclusi, si alza, mi ringrazia e va via.
Così rimango solo con quell’altro, che chiamerò Ahmed, dal viso scuro e dolce. Iniziamo a parlare, poi l’eccitazione ci coglie di nuovo. Il periodo refrattario è stato breve. Ma io sono inflessibile, nonostante le sue insistenze: solo giochi di mano!
Quando abbiamo nuovamente finito, mi sento pian pianino raccontare la storia della sua vita: il paese da cui proviene, la ragazza con cui è stato fidanzato per tanti anni, a partire dall’adolescenza, e che ha lasciato per venire in Italia. Mi parla della sorella con cui conta di ricongiungersi presto, facendo arrivare anche lei qui. Io gli racconto di me, in modo sommario, certamente abborracciato, senza troppi dettagli. Lui appare interessato e mi spinge a parlare ancora. Poi mi confida:
– Tra Napoli e Roma non c’è troppa distanza ed io potrei venirci ogni tanto, anche periodicamente.
Resto un po’ interdetto, ma non me la sento né di respingere la sua proposta e nemmeno di avallarla. Così trovo la soluzione più semplice: lo scambio del cellulare e di Whatsapp.
Voglio andare via, a questo punto, ma lui mi trattiene – di cinque in minuti in cinque minuti, finché il ritardo diventa insostenibile. A questo punto gli faccio notare che un treno mi aspetta.
E lui inizia a dire che mi vuole accompagnare alla stazione. La trovo una cosa romantica, ma ho qualche riserva: in fin dei conti non lo conosco. Così declino l’invito e vado via.
Ritorno a casa. Ci sentiamo qualche volta sul cellulare: mi manda le sue fotografie che conservo ancora. Ma poi, pochi giorni dopo, inizierà il periodo della rovina, una fase atroce della mia vita che mi isolerà da tutto e da tutti.
Proprio quel viaggio a Roma resta l’ultimo goccio di miele che la vita m’ha fatto assaggiare prima del sapore amaro della malattia.