Brutti ricordi e flussi mentali
Sono sdraiato sul letto, con il portatile sull’addome, e penso.
L’intelletto mi bombarda con milioni di flash del passato e del presente: è una moltitudine di scene, qualcuna senz’altro futura.
A molte non ho mai assistito ma le immagino sempre con nitidezza di particolari; le sento reali, come se le avessi vissute tutte.
Come sono strane queste cose: chissà perché ho determinate certezze, chissà da dove mi deriva la sensazione di conoscere cose che non so, e perché a volte è doloroso.
Passavo ieri davanti ai grattacieli che Napoli ospita: ricordavo di Amerigo e del calore della sua mano che stringevo in quei luoghi.
Poi tornavo a spingermi a ritroso nel tempo, al periodo più brutto della mia vita, quando avevo appena smesso di essere un bambino.
Allora mi sentivo solo e triste, credevo sarei morto presto.
L’intelletto si era offuscato, la razionalità sottomessa: mi vedevo prigioniero di un qualcosa più grande di me che mi dava ordini dall’interno del mio corpo, lo chiamavo il codice. Ho letto di un qualcosa di simile solo nel diario di una schizofrenica, trovato in libreria.
Forse era solo una tremenda depressione, mista ad un forte esaurimento nervoso.
Quando sono giù, ricordo di cosa è stato quel periodo e di come mi sia rialzato completamente da solo, nonostante l’età acerbissima: allora mi sento sempre sereno e propositivo.
Anche ora, in fondo, sono tranquillo, nonostante continui a scorgere alcuni flash davanti agli occhi. Forse sono illusioni.
Perché la mente ancora si attarda a percorrere certi sentieri?
Mi guardo pigiare questi tasti, ne avverto il rumore che fa breccia nell’atmosfera.
Penso ai miei affetti, sospiro, trattengo l’aria, vado avanti a riflettere.