Il twink mulatto
Qualche anno fa mi trovavo a Napoli, nella stazione della circumvesuviana di piazza Garibaldi.
Aspettavo il treno per far ritorno a casa e, onestamente, il pensiero d’incrociare un bel ragazzo non mi sfiorava di striscio.
Ed invece, improvvisamente, allungo lo sguardo in direzione del telefono pubblico e vedo un bellissimo twink che discute alla cornetta: il carnato è mulatto, lo sguardo dolce, la complessione minuta, non troppo alta e facile da abbracciare.
Mi avvicino per ascoltare meglio. Parla spagnolo.
– ¡Te amo! – lo sento sussurrare.
Chiaramente è latinoamericano, e del resto la pronuncia e la scelta dei verbi lo conferma.
Si trattiene ancora un po’ e la grammatica pare asseverare che stia discorrendo con qualcuno di sesso maschile. Poi riaggancia e comincia a setacciarsi le tasche.
Si direbbe stia cercando qualche moneta e si ha un bel frugare, ma inutilmente. Allora mi alzo e vado da lui.
– ¿Te sirve una tarjeta telefónica? – gli chiedo.
Lui mi sorride e afferra la scheda.
Compone nuovamente un numero, in preda alla concitazione. E stavolta si esprime in inglese:
– I love you so much – si lascia uscire, ed ancora il tono è irreprensibilmente romantico.
Quando riaggancia, ho gli elementi necessari per dirgli:
– ¡Soy gay también!
– ¡Lo sé! – mi risponde lui, a bruciapelo.
Comincio col domandare cosa fa in Italia, e mi spiega che lavora come membro dell’equipaggio di una nave da crociera: la sua società è specializzata nel servire esclusivamente clienti omosessuali.
Gira le città ed ha il tempo di fermarsi un po’ qui, un po’ là.
E in quel momento, senza affaticare oltremisura la fantasia, comprendo che probabilmente ha un fidanzato in ogni porto.
A questo punto non posso esimermi dal chiedergli se gli va di trattenersi in un posto tranquillo assieme a me. Lui intende al volo cosa voglio significare – come del resto era da aspettarsi – ed allora mi affretto a precisare che mi bastano “un poco de abrazos y una puñeta”.
È una bella parola quest’ultima, anche in napoletano si usa, raddoppiando la t. Aggiungo, comunque, per chiarezza: handjob.
Lui sorride e si dirige verso i vespasiani.
Lo tira fuori e comincia a toccarsi.
Tutti lo guardano. E non perché si stia segando (in quel luogo è uno spettacolo prettamente ordinario) quanto perché è deliziosamente ed inusualmente carino.
Io ovviamente lo fermo subito, prima che la stazione intera si avventi su di lui.
Gli propongo, ché è meglio, di andare in un luogo più appartato: dopotutto basta prendere il treno.
Aspettiamo assieme, sulla banchina, mentre seguitiamo a discorrere. Tuttavia l’attesa è lunga e dobbiamo salutarci con un nulla di fatto perché la sua nave è in procinto di partire.
Allora dalla camicia lui estrae “un bolígrafo” e sopra vi è impresso il marchio della società per cui lavora. Poi mi guarda e dice:
– ¡Esto es un regalo pa’ ti!
Infine aggiunge che il mese successivo attraccheranno nuovamente a Napoli, perciò mi lascia un cellulare, affinché io possa raggiungerlo se lo desidero.
Lo cercherò inutilmente, in quella data, e conserverò per un po’ la sua penna.