In tema di zòccole

Il napoletano ha sempre nutrito un vivo disgusto nei confronti dei topi.
Ne avevo conferma proprio l’altro giorno: ce n’era uno nei pressi della stazione – piuttosto grosso e con la coda lunga lunga – che correva a bordo strada; la gente si fermava per commentare in modo non lusinghiero.
Eppure, anche questi sono pregiudizi, in un qualche senso. Lunga vita alle zoccole!

Tantopiù che un affascinante esperimento condotto su alcuni ratti dimostra che essi possono essere moralmente migliori di taluni umani.
Andiamo per ordine: lo studio era teso ad accertare se questi roditori avessero o meno la sensibilità di accorgersi della sofferenza altrui e scegliessero in tal caso di regolare il loro agire di conseguenza.

Un ratto, dunque, è stato messo nelle prossimità di un altro, quest’ultimo intrappolato in uno spazio ristretto. L’apertura di tale spazio era comandata da una leva.
Dopo un po’, il primo roditore imparava che tirando la leva avrebbe restituito la “libertà” al suo amico. Si è anche appurato che i ratti non si scomodavano ad aprire il passaggio se esso appariva vuoto oppure conteneva oggetti insignificanti.
Però, anche regalando al primo roditore un pezzetto di cioccolata, nella maggior parte dei casi esso preferiva prima liberare il suo compagno e, poi, spartire la cioccolata con lui.

Un altro elemento degno di particolare interesse, in questa vicenda, è il fatto che noi condividiamo con questi animaletti gli stessi circuiti cerebrali e i medesimi ormoni preposti ad interagire con essi. Sarebbe quindi possibile imparare a controllare il loro funzionamento e rendere maggiormente compassionevoli gli esseri umani più insensibili? Quali implicazioni ne discenderebbero sulla moralità, il libero arbitrio e la prevenzione dei crimini?

Su tale argomento il professor Singer ha sollevato un dibattito sul New York Times. Tra le altre cose, egli si chiede:

Se la ricerca dimostrasse l’esistenza di differenze biochimiche tra il cervello di coloro che aiutano gli altri e quelli che se ne astengono, si potrebbe magari creare una “pillola della moralità” – un medicinale che ci renda più disponibili a dare una mano?
Considerati diversi altri studi che hanno stabilito un collegamento tra differenze biochimiche ed umore e comportamento, e il proliferare di farmaci per alterarli, l’idea non è campata in aria. E se così fosse, la gente la prenderebbe? Potremmo darla ai criminali come alternativa alla prigione di modo che sarebbe meno probabile nòcciano agli altri? E se i governi iniziassero a mappare gl’individui per scoprire quelli che sono più portati a commettere certi reati?



Questo è un post di admin scritto in data 4 Febbraio 2012 alle ore 13:49 e appartiene alla categoria Personale. Puoi seguire i commenti a quest'articolo attraverso un feed apposito. Sei invitato a lasciare un commento. Non è consentito il ping.

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