Lettera
Non so quando e se ti rivedrò. So che mi sei caro, a prescindere.
Non importa sapere perché lo sei: i sentimenti (e questo vale per chiunque ne sia stato oggetto) non sono banconote; restan sempre tali, nonostante tutto.
Ora che ho la certezza che non ti conoscevo davvero, so anche che non è questo che conta.
Anche perché, se mi guardo nell’animo, son certo di sentirti a me fratello, tralasciando quello che potrebbe accadere nel futuro.
Alcune cose sarebbero parecchio più indigeste di altre, ma — immaginando di avere una lunga vita davanti — forse non sarebbe male andarsene dopo aver parlato per qualche ora sinceramente con te.
Non ho mai creduto alla fretta: perché un dialogo possa essere franco ci devono essere buone intenzioni da parte di entrambi, ciascuno verso l’altro, e può essere il caso di aspettare tutto il tempo che ci vorrà, o anche di rinunciare e limitarsi a custodire gli aspetti belli di ciò che fu.
Alla fine, quando le faccende sono complicate, ritengo che scegliere come agire sia arduo, ed io al concetto di epochè ci credo, io ci credo. Anche perché non so quanto siamo liberi di ragionare autenticamente in questo mondo.
Spero, comunque, che non ti accada mai nulla di male, così come un po’ mi aspetto che tu faccia ciò che puoi (e, magari, devi) per me.